E’ stato responsabile locale dei progetti PRIN 1997-98, 2000-02, 2004-2008, 2010-11, 2012-13. Nell’ambito di quest’ultimo PRIN (approvato: 23 ottobre 2012, decorrenza: 1 febbraio 2013), che ha come argomento “Biopolitica, governamentalità, trasparenza del potere”(http://cercauniversita.cineca.it/php5/prin/cerca.php?codice=20108ZSRFF) è stato creato, tra l’altro, questo blog, che ha come scopo quello di implementare i contatti con i colleghi coinvolti nella ricerca e con gli studenti, in modo che possano seguirne gli sviluppi come utile integrazione all’attività didattica.
Si è laureato nel 1975 nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma discutendo la tesi su “Il pensiero politico di Raymond Aron” (votazione: 110 e lode).
Dopo aver prestato servizio, sotto forma di attività volontaria, presso la cattedra di Storia delle dottrine politiche della suddetta Facoltà e presso la cattedra di Sociologia della cultura dell’università Internazionale “Pro Deo” di Roma e dopo aver collaborato continuativamente, dal maggio al novembre 1975, alle pagine culturali del quotidiano “Il Globo” di Roma, è stato assunto, in data 15.I.1976, come tecnico laureato incaricato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia.
Ha lavorato prima nell’Istituto di Storia, poi in quello di Filosofia. Dal 23.XI.1977 decorre la sua immissione in ruolo.
Dal 17.VII.1985, dopo aver superato il relativo giudizio di idoneità, è stato professore associato di Filosofia politica nell’Istituto di Filosofia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia. E’ stato confermato in tale ruolo con decorrenza dal 18.VII.1988.
Dal marzo 1999, dopo aver superato il relativo concorso, è professore ordinario della disciplina. E’ stato confermato nel ruolo nel luglio 2003.
Dal 1985 al 1995 è stato Docente incaricato nell’Istituto teologico di Assisi e dal 1994 al 1998 ha insegnato anche, con lo stesso ruolo, nell’Università Pontificia “Auxilium” di Roma.
I percorsi di ricerca si sono sviluppati seguendo le tappe che vengono qui di seguito riportate:
A) Nel primo periodo di attività -mettendo anche a frutto l’esperienza dei seminari del CESES presso la fondazione “G.Cini” di Venezia, frequentati negli anni 1973 e 1974 con apposita borsa di studio- ha dedicato il suo lavoro scientifico, documentato dalle pubblicazioni allegate in elenco, allo studio di alcune rilevanti correnti del marxismo contemporaneo. In tale ambito ha privilegiato l’area culturale dell’Europa centro-orientale, con particolare riferimento a contesti culturali di paesi (Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia) nei quali era possibile cogliere elementi e spunti di notevole spessore teorico per quanto concerne la revisione del marxismo in essi avviata. La prospettiva di questi studi è stata duplice: da un lato, si è cercato dì illustrare ed approfondire momenti e dimensioni essenziali della storia più recente del marxismo in quei paesi; dall’altro, si è tentato di mostrare che le acquisizioni teoriche del marxismo critico negli ambiti culturali ricordati non rappresentavano un fenomeno di valore e significato circoscritto ed isolato, ma potevano essere assunte quali espressioni emblematiche del complesso processo di ripensamento della filosofia marxista, e in particolare della teoria dello Stato, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta di questo secolo.
A tale impostazione metodologica si sono ispirati, oltre che vari articoli, i due volumi I marxismi all’opposizione nei paesi dell’Est (Roma 1978) e Marxismo e revisionismo nelle democrazie popolari (Perugia 1980).
Nella misura in cui l’analisi di queste componenti della filosofia politica marxista contemporanea evidenziava l’articolato e spesso ambivalente rapporto intessuto con la tradizione del pensiero democratico moderno, si è manifestata l’opportunità di un’estensione della ricerca, finalizzata sia ad indagare implicazioni e valenze di questo rapporto, sia ad analizzare alcune espressioni particolarmente significative delle teorie democratiche della modernità alle quali il pensiero politico marxista, fin dalle sue origini e in particolare nel nostro secolo, si è rivolto e collegato con più marcata insistenza.
In questa direzione si è andato delineando un itinerario di ricerca indirizzato ad approfondire lo studio della filosofia politica di Rousseau, frequentemente collegata, pur in modi diversificati, al pensiero marxiano (basti ricordare, per quanto concerne il contesto italiano, gli studi di Galvano Della Volpe e di Lucio Colletti). Ciò è stato fatto non solo con l’intento di ricostruirne la trama e lo sviluppo interni, ma anche con l’intenzione di rilevare alcune contraddizioni presenti in essa e sostanzialmente radicate in una concezione unilaterale della libertà, tesa ad enfatizzare il tema dell’autolegislazione collettiva da parte della “communauté” a scapito di quello della tutela degli spazi di indipendenza dei “particuliers” rispetto al potere espresso dall’assemblea sovrana. In tal modo risultano demarcati nettamente i confini rispetto alla tradizione liberale, esemplarmente incarnata in Locke e Montesquieu, punti di rifermento costanti per l’autore del Contratto sociale. L’opera politica di Rousseau costituisce un lascito teorico che verrà accolto ampiamente nell’ambito del pensiero di Marx, così come nel contesto di una parte rilevante della tradizione marxista. Il punto saliente di questa recezione, sul piano filosofico-politico, è costituito dal progressivo delinearsi di una dicotomia -che ha segnato a lungo la vicenda teorica del marxismo e le realizzazioni storico-istituzionali ad esso ispirate- tra la “vera democrazia” (Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, tr.it a cura di G. Della Volpe, Editori Riuniti, p. 42) e i principi del liberalismo. Soltanto il revisionismo sviluppatosi -sia nel marxismo occidentale che in quello dei paesi del “blocco sovietico”- a partire dall’analisi delle esperienze storiche del “socialismo reale” ha operato in modo da ricomporre questa scissione. Il nucleo essenziale dei lavori dedicati al marxismo critico sviluppatosi nei paesi del socialismo storico è costituito appunto dall’analisi dei modi e delle forme in cui si è configurata tale ricomposizione.
Allo studio specifico della filosofia politica rousseauiana e alla teoria democratica del ginevrino sono stati dedicati due volumi (Natura umana e artificio politico. Saggio su Rousseau, 1988; Una fragile libertà. Esercizio di lettura di Rousseau, 2002 ) e vari articoli.
B) Il lavoro successivo è consistito nel cercare di mettere a fuoco alcuni itinerari di sviluppo delle teorie democratiche del ‘900, ponendo esplicitamente a fondamento dell’indagine un tema che già era emerso nelle ricerche precedenti, cioè quello della relazione tra teorie della democrazia e modelli della razionalità pratica. Le coordinate di questa ricerca, che è tuttora in fase di svolgimento, possono essere delineate come segue.
La riflessione filosofico-politica sul problema della democrazia nel nostro secolo è stata influenzata in modo determinante dalla sempre più decisa egemonia di modelli della razionalità che hanno condotto a un ripensamento profondo dei fondamenti e del significato del concetto di democrazia. In particolare, l’affermazione -nel contesto della filosofia neo-positivistica e in parte di quella analitica- di un radicale (seppur variamente configurato) non-cognitivismo etico e la conseguente contestazione della plausibilità dello stesso concetto di “razionalità pratica” hanno portato al ripensamento radicale della dimensione normativa della democrazia, fino a condurre alla negazione della possibilità sia di una fondazione metafisica, sia di una giustificazione razionale in termini sostantivi di questo regime politico, che sarebbe da riportarsi perciò unicamente alle sue regole di funzionamento, cioè a metodo. La posizione di Hans Kelsen è, al riguardo, emblematica, seppure certo non esaustiva.
D’altra parte, il “monismo metodologico” (C. Perelman), cioè il riferimento alla razionalità scientifica come unico criterio di razionalità attendibile, ha influenzato altre versioni della democrazia, come quelle prefigurate nel “razionalismo critico” di Karl Raimund Popper e di Hans Albert, che, pur sfociando anch’esse in una interpretazione sostanzialmente proceduralistica, non sono totalmente riconducibili e assimilabili, per le stesse premesse epistemologiche da cui muovono, alle prospettive sopra ricordate.
Le reazioni allo slittamento in senso formalistico della tradizione democratica hanno, notoriamente, assunto varie espressioni. Particolare rilievo rivestono comunque alcuni tentativi di rimotivazione etico-razionale della democrazia, tra cui sono stati in particolare esaminati quelli rappresentati dalla “teoria dell’argomentazione” di Perelman, dalla teoria della politica come spazio dell’ “azione comune basata sul discorso” di Arendt, dalle teorie dell’ “agire comunicativo” di Habermas e Apel, dalla “teoria della giustizia” di J. Rawls. Partendo da questa variegata riflessione sulla giustificazione filosofica della democrazia -svolta da autori critici, allo stesso tempo, dei tentativi di fondazione metafisica della filosofia politica (un esempio emblematico dei quali è rappresentato nel nostro secolo dal pensiero di Jacques Maritain), così come degli esiti riduttivamente proceduralistici impliciti nelle concezioni che Habermas ha definito “positivistiche”- si è cercato di stilizzare una prospettiva che possa permettere di procedere ad una giustificazione in chiave morale-razionale della democrazia.
Alla luce di questo orizzonte di riferimento la ricerca è stata indirizzata in vista di un duplice obiettivo:
a) ricostruire gli svolgimenti del dibattito cui si è accennato, che si presenta come uno snodo essenziale per la comprensione degli itinerari della filosofia pubblica e della teoria democratica contemporanee (lavoro già in parte abbozzato nel volume Pensare la democrazia. Itinerari del pensiero politico contemporaneo, Roma 1989);
b) procedere -muovendo soprattutto dalla verifica della intrinseca fragilità teorica e anche delle interne contraddizioni delle versioni proceduralistiche- ad un tentativo di sintesi critica, da cui possono emergere indicazioni preliminari in vista di una proposta speculativa che tenga conto degli apporti e delle possibilità di sviluppo delle posizioni riconducibili al contesto della “riabilitazione della filosofia pratica” sopra sommariamente ricordate, le quali non sono peraltro esenti anch’esse da aporie e limiti. Questi ultimi sono in parte considerevole riconducibili all’assunzione, spesso dogmatica (cioè postulata e non argomentata), di quella premessa anti-metafisica che è comune a tutti gli indirizzi menzionati. Il recupero e il ripensamento della tradizione democratico-personalistica si pone, in questa prospettiva, come un orizzonte di sfondo alla luce del quale sviluppare una interpretazione critica di tali indirizzi (per alcuni accenni in questa direzione cfr. Abitare la Città. Un’introduzione alla politica, Roma 1991; Democrazia, ragione e verità, Milano 1995; Democrazia in transizione, Roma 1997).
C) L’ulteriore sviluppo della ricerca sulla filosofia politica di Rousseau ha evidenziato la necessità di un ampliamento di prospettiva rispetto al percorso già compiuto. Ciò nel senso che è emersa con sempre maggiore evidenza l’impossibilità di comprendere adeguatamente la riflessione rousseauiana relativa alla “società ben ordinata” senza aver costantemente presente l’esame che il pensatore ginevrino svolge, seppur spesso in forma asistematica e frammentaria, della questione antropologica e, all’interno di questa, del problema concernente l’origine e la natura del male nel contesto della vicenda sia individuale che storica.
Si è cercato di mostrare come la posizione di Rousseau sull’argomento sia contraddistinta da una costitutiva ed ineliminabile ambivalenza, la quale, se non è certo sfuggita agli interpreti, non ha forse però attirato tutta l’attenzione che merita; e soprattutto non ha ricevuto un approfondimento proporzionato alla sua rilevanza anche in riferimento all’elaborazione della filosofia politica rousseauiana.
Tutti coloro i quali, a partire da Ernst Cassirer, si sono impegnati ad evidenziare la portata del mutamento radicale che Rousseau avrebbe introdotto in rapporto al “problema della teodicea”, nel momento e nella misura in cui individua la “responsabilità” del male “in un punto dove mai prima di allora era stata cercata”, cioè non nell'”uomo singolo” ma nella “società umana” (Cassirer), hanno colto un aspetto innegabilmente presente nella sua filosofia. La sostanza di questa interpretazione è stilizzata da Jean Starobinski quando osserva che, per Rousseau, “il male viene prodotto attraverso la storia e la società, senza alterare l’essenza dell’individuo”. Ciò vuol dire che “la colpa della società non è colpa dell’uomo nella sua essenza, ma nei suoi rapporti” e che “al male e alla degradazione storica è possibile attribuire una posizione periferica nei confronti della natura originaria, che permane centrale”. Tale ipotesi interpretativa, diventata quasi un luogo comune in riferimento al pensiero rousseauiano, implica alcuni corollari, presenti nella maggior parte delle letture che ad essa si sono ispirate. Il più denso di implicazioni in rapporto ad uno studio in chiave filosofico-politica di Rousseau è quello che concerne l’attribuzione alla politica di un ruolo di salvezza inframondana; infatti, se il male è esclusivamente di carattere storico-sociale, essa si presenta come lo strumento primario per l’estirpazione del male stesso dal mondo e quindi si candida ad un “primato” assoluto e potenzialmente “totalitario”, strutturandosi nella forma di una “vera e propria contraffazione della religione, alla quale si sostituisce quasi integralmente” (S. Cotta). Quest’ultimo aspetto autorizzerebbe, come è stato sovente sostenuto, ad individuare in Rousseau un autore di fondamentale rilievo nella nascita e nello sviluppo del “messianismo politico” moderno, inteso come “l’aspirazione a raggiungere la felicità sulla terra attraverso una trasformazione sociale” e interpretato quindi come la matrice filosofica della “democrazia totalitaria” (J. Talmon).
Partendo da questo quadro di riferimento generale, l’ulteriore sviluppo della ricerca su Rousseau ha mirato non tanto a contestare tout court la pertinenza di tale interpretazione, quanto piuttosto a riflettere sulla possibilità di sondare, più di quanto è stato normalmente fatto, altre prospettive dalle quali il problema si presta a essere esaminato e valutato. Si è trattato cioè di esplorare itinerari e di indicare angolature interpretative che schiudono spiragli in direzione di una almeno parziale riformulazione del problema del male nella filosofia rousseauiana. Il nucleo essenziale di questa riformulazione può essere indicato nella sottolineatura della possibilità di rintracciare in Rousseau un percorso speculativo al centro del quale non sta il tema del “peccato sociale” (P.-L. Masson) -e quindi la tesi della natura periferica del male in un essere la cui “bontà” originaria può, sì, essere stata occultata dalle incrostazioni depositatesi a seguito del progresso della civilizzazione, ma non distrutta e intaccata nella sua cristallina e sempre intatta purezza; al centro sta piuttosto l’idea che il male è annidato nell’interiorità del soggetto, in modo tale che la società viene a configurarsi non come causa, ma come occasione di esso. Ne deriva che, per guadagnare un angolo visuale adeguato sull’argomento, è necessario rimettere al centro la dimensione antropologico-filosofica rispetto a quella storico-sociale, poiché, in rapporto alla decisiva domanda sull’insorgere del male, è quest’ultima a ruotare attorno alla prima e non viceversa, come avviene nelle interpretazioni ricordate.
Entro tale orizzonte generale è risultata evidentemente inevitabile una precisazione quanto più rigorosa possibile dei contorni dell’antropologia filosofica di Rousseau. Si è cercato di assolvere questo compito mettendo in risalto, da un lato, la dinamica della “libertà” quale si delinea sullo sfondo del dualismo tematizzato in maniera sistematica nell’Emilio e, dall’altro, il tema della “faiblesse”, cioè della fragilità, forse non sempre pienamente valorizzato in relazione all’argomento affrontato. Se si adottano queste coordinate di riferimento, è possibile ottenere un accesso alla problematica del male in cui emergono in primo piano i processi che si svolgono nell’interiorità del soggetto umano, inteso come ente finito alle prese con i conflitti caratteristici di un “essere” non “semplice”, ma “composto di due sostanze”, “matière” ed “esprit”, e costantemente insidiato dalle lacerazioni che scaturiscono da questa sua peculiare “constitution” (Rousseau a C. de Beaumont, 1763). In tali dinamiche l’uomo esperisce, per un verso, insieme al valore della libertà, anche lo scacco sempre incombente su di essa -cioè la possibilità della perversione della volontà, dell’ “abuso” di questa facoltà che pure lo contraddistingue (Emilio, libro IV)- e, per altro verso, gli effetti della sua intrascendibile finitudine, intesa come costitutivo ontologico, come vero e proprio orizzonte trascendentale dell’esperienza morale e politica, insomma come “quella debolezza costituzionale che fa sì che il male sia possibile” (P. Ricoeur).
La coppia concettuale libertà-fragilità può quindi fornire un punto di vista sul male indirizzato a coglierne la radice a partire da un analisi centrata sull’interiorità, un’interiorità che si offre non nella luce trasparente e aproblematica della “bontà naturale”, ma mostra zone d’ombra, pieghe riposte, oscillazioni e contrasti di cui Rousseau offre una ricca e variegata fenomenologia. Data l’importanza che è parso giusto attribuire a questi aspetti, ci si è soffermati molto su di essi, cercando in particolare di mettere in rilievo l’influenza che, per la comprensione del significato e delle implicazioni di tale coppia concettuale, deve essere riconosciuta a quello che, in uno studio ormai classico, Pierre-Maurice Masson individuava come il residuo cristiano presente nella filosofia rousseauiana. Si è anche tentato, sviluppando alcune possibilità implicite in questa linea interpretativa, di motivare la plausibilità di un collegamento tra la posizione di Rousseau e la teoria kantiana del “male radicale”.
L’immagine dell’uomo così offerta da Rousseau ha decisive ricadute nella sua riflessione politica (ed è questo il nesso che il primo lavoro sull’autore de Il contratto sociale non aveva approfondito). Tale riflessione, proprio nella misura in cui si sviluppa a partire dall’assunzione del vincolo costituito dagli “uomini come sono” -vale a dire nella loro non oltrepassabile fallibilità e nella loro intrinseca contraddittorietà-, sembra poter essere letta alla luce di un sostanziale antiperfettismo. Quest’ultimo costituisce il fondamento della teoria democratica elaborata nel Contratto sociale; ciò, in particolare, nel senso che la democrazia viene a configurarsi come quel sistema di organizzazione della convivenza che fa tesoro delle acquisizioni di un’antropologia filosofica centrata sull’idea del limite, sulla consapevolezza della permanente possibilità dell’errore, sull’accentuazione, quindi, della necessità di predisporre condizioni dì vita comune che consentano di pervenire a giuste decisioni non partendo dall’infallibile ragione di un individuo superiore (o della collettività), ma dal ricorso alla “raison publique”, da intendersi come il risultato sempre provvisorio e imperfetto del confronto pubblico di razionalità individuali intenzionate al “bene comune”. Pur non senza oscillazioni e antinomie, talvolta tutt’altro che marginali (alle quali però il primo lavoro su Rousseau aveva attribuito un ruolo maggiore di quello che, a un esame più attento, è sembrato legittimo riconoscergli), questo appare essere il nucleo centrale della “république” rousseauiana delineata nel Contratto sociale.
D’altra parte, nella misura in cui l’anti-perfettismo viene condotto alle sue conseguenze più estreme, può finire -come sembra accadere nel Contratto sociale– per proiettare in una prospettiva fortemente pessimistica tutta la teoria della “società ben ordinata” e per esporre al dubbio radicale la possibilità stessa che il “diritto politico” possa trovare un’effettiva e duratura incarnazione storica. L’ “arte” condotta al livello di “perfezione” attingibile con i mezzi umani può essere il rimedio ai mali che “l’arte in principio produsse nella natura”(Manoscritto di Ginevra); ma il male che si annida nella natura -cioè quel male che riaffiora costantemente negli “hommes tels qu’ils sont”- insidia la perfezione dell’ “artificio” e sembra orientare l’ordine politico verso la decadenza inevitabile: “Se Sparta e Roma sono morte, qual è lo Stato che può sperare di durare per sempre?” (Contratto sociale, libro III, cap.11).
Secondo quanto si è cercato di mostrare nel corso di questa parte della ricerca su Roussseau, la Nuova Eloisa e l’Emilio possono essere lette come opere nelle quali, a partire dallo scacco della società politica giusta, egli prospetta altre alternative di fronte all’incombere del male. Ma anche in questi casi alla fine emerge il fallimento e si evidenziano i caratteri di quella che Alexis Philonenko ha definito, con un’evidente e giustificata tonalità polemica nei confronti delle interpretazioni più consolidate, una “philosophie du malheur”.
Se si volesse far ricorso al lessico della filosofia contemporanea, si potrebbe dire che il nucleo della filosofia rousseauiana risiede nell’assunzione, come chiave di lettura della condizione umana, di un’ ermeneutica della finitezza, la quale permea e indirizza, secondo diverse modulazioni e certo non senza contraddizioni, il pensiero del filosofo ginevrino sia in campo etico che politico.
Si può dire che esiste, all’interno di questo pensiero, un orientamento secondo il quale l’artificio umano, sia esso quello politico o quelli che nascono dal tentativo di individuare percorsi alternativi allo scacco della “société bien ordonné” (la comunità ristretta degli spiriti eletti di Clarens narrata ne La nuova Eloisa o l’educazione privata di Emilio), trova costantemente il suo limite nella natura degli uomini come sono, cioè esseri che abusano della loro “liberté” e che sono esposti agli effetti della loro “faiblesse”. Il male, che in questa natura è radicato, trascende ogni sforzo di ricondurre l’esperienza dell’uomo entro i confini rassicuranti di un progetto razionale che consenta il superamento di ogni contraddizione. La Città perfetta, così come ogni programma di liberazione totale dal male, è una “chimera”. Ciò perché – come lo stesso autore dell’Emilio riconosce- “nul n’est parfait ici-bas”.
I risultati della ricerca condotta secondo i criteri appena delineati sono confluiti nel volume L’enigma del male. Un’interpretazione di Rousseau (Roma, 1996) e in articoli di cui si dà conto nell’elenco delle pubblicazioni.
Alcuni dei temi indicati sono stati poi ripresi nel testo, già ricordato, Una fragile libertà. Esercizio di lettura su Rousseau (E.S.I., Napoli 2001).
A partire da qui si sono andati sviluppando due itinerari di approfondimento dei temi emersi nel corso dello studio di Rousseau.
Il primo è indirizzato allo studio del pensiero politico e giuridico di Pascal; è stato sollecitato dalla considerazione della rilevanza che assumono i rapporti che legano Rousseau a Pascal e, in generale, alla tradizione giansenista (non è superfluo ricordare come Rousseau stesso rammenti l’impatto profondo del giansenismo sulla sua formazione spirituale e filosofica [Confessions, in Oeuvres complètes, I, p. 242]).
Il secondo è costituito dal progetto di allargare la visuale sul tema del “male politico” (Adorno) alla filosofia del nostro secolo, con particolare riferimento a quegli autori che hanno affrontato il problema del male muovendo dall’esperienza del totalitarismo. Su questo secondo argomento sono stati pubblicati un volume collettaneo, di cui l’estensore di questo curriculum è stato editor e che raccoglie contributi su H. Arendt, S. Weil, E. Stein, H. Jonas, P. Ricoeur, E. Voegelin, T. Adorno, A. Del Noce (Città Nuova, Roma 2000), e una monografia (Il chiaroscuro del mondo. Il problema del male tra moderno e post-moderno, Studium, 2002).
Per entrambi gli argomenti si veda l’elenco delle pubblicazioni. Qui di seguito ci si limita a indicare alcune linee-guida della ricerca sull’ordine politico e il problema del male in cui emergono soprattutto gli elementi di continuità che collegano i due itinerari indicati e che sono al centro del citato volume Il chiaroscuro del mondo, in cui vengono presentati, in maniera ancora provvisoria e volutamente non conclusiva, alcuni sviluppi ed esiti di un lavoro tuttora in fase di svolgimento.
Non c’è dubbio che, tra i temi per molto tempo vistosamente evitati dalla filosofia contemporanea, e soprattutto dalla filosofia politica, c’è quello del male, come ricordava Luigi Pareyson in uno dei suoi ultimi interventi pubblici:
“Mi ha sempre stupito il fatto che nell’immediato dopoguerra abbiano avuto grande diffusione filosofie esclusivamente dedite a problemi tecnici di estrema astrattezza e sottigliezza, mentre l’umanità stava appena uscendo dall’abisso del male e del dolore in cui era precipitata. Com’è possibile, mi chiedevo, che la filosofia chiuda gli occhi di fronte al trionfo del male, alla natura assolutamente diabolica di certe forme di malvagità, alle più spaventose manifestazioni dell’efferatezza umana, alle orribili sofferenze inflitte dall’uomo all’uomo, e abbandoni queste atrocità […] alla cupa desolazione dell’arte e alla dolente pietà della religione? Dopo fenomeni come l’olocausto, di fronte ai quali non è possibile che l’umanità intera non si senta colpevole, quelle filosofie mi sembravano di pura evasione e assurdamente rinunciatarie. E’ auspicabile che le poche filosofie che non rimasero insensibili a quei problemi si vedano presto affiancate da altri movimenti, sì che questo secolo, che passa per un culmine di progresso e di civiltà, nell’imminenza della propria fine, si ripieghi su se stesso a considerare gli estremi di malvagità e di sofferenza di cui è stato capace, e s’immerga con tragica consapevolezza nella dolorosa problematica del male”.
Tenendo conto di questo sfondo di riferimento la ricerca si caratterizza principalmente per due aspetti:
a) Il tentativo di porre al centro dell’attenzione lo sviluppo del tema nella filosofia politica moderna, poiché è da essa, come si cerca di mostrare, che abbiamo ereditato le categorie principali con l’ausilio delle quali oggi ragioniamo su di esso. Al centro dell’indagine sono stati collocati tre autori, Pascal, Voltaire, Rousseau, che si prestano in modo particolarmente adatto ad evidenziare alcuni nuclei tematici che fanno da guida in tutta la ricerca. Per quanto riguarda Pascal, i risultati provvisori di quest’ultima sono contenuti negli articoli di cui si dà conto nell’elenco delle pubblicazioni. Per quel che concerne Rousseau si è provveduto, nel 2005, a curare un’edizione critica del Contratto sociale per la casa editrice Rizzoli (vedi elenco delle pubblicazioni).
b) L’intento di discutere criticamente alcuni risvolti del dibattito nell’ambito di alcune delle correnti più rilevanti della filosofia politica attuale proprio evidenziando gli elementi di continuità e quelli di discontinuità tra moderno e “post-moderno”.
Attraverso un percorso che si svolge nell’ambito di tale orizzonte di riferimento generale si punta a mettere in risalto come, nella riflessione filosofica, la caratteristica dominante del passaggio tra moderno e “post-moderno” consista nella progressiva separazione, annunciata già nell’Illuminismo (si pensi al Candide di Voltaire), tra i due poli che in una secolare tradizione di pensiero avevano posto le basi portanti per la riflessione sul tema oggetto del saggio: quello costituito dall’interrogativo intorno alla natura e all’origine del male (“quid et unde malum?”), da un lato, e, dall’altro, quello rappresentato dall’individuazione delle possibilità e dei limiti della politica nei confronti delle varie manifestazioni che il male assume nella vita sociale, cioè della “sofferenza socialmente evitabile” (S. Veca).
Tale separazione ha almeno due rilevanti conseguenze:
a) Innanzitutto comporta di non pensare più il problema del male in ciò che lo costituisce da sempre come sfida portata costantemente al pensiero e alla coscienza, cioè appunto con riguardo alla natura e all’origine di esso. Implica, altresì, evadere le domande che il male, esaminato non solo nelle sue radici ma anche nella sua realtà effettuale, pone sia relativamente agli aspetti storico-sociali che può assumere (l’iniquità nella distribuzione delle risorse, il mancato rispetto dei diritti della persona, la violenza), sia alle manifestazioni in cui la dimensione dello scandalo che spesso lo contraddistingue emerge con maggiore forza e crudezza: è lo spazio dell’ “eccesso del male”, che investe sia la sfera individuale che quella collettiva, come ha mostrato l’esperienza dell’olocausto e dei gulag, fenomeni irriducibili a ogni spiegazione (che inevitabilmente rischia di diventare, più o meno consapevolmente, giustificazione) di tipo storico o sociologico.
b) In secondo luogo tale posizione ha come effetto di lasciare la prassi politica priva di orientamento nella sua azione contro il male: è l’inevitabile effetto del divorzio tra riflessione filosofica ed esperienza del male, che a sua volta costituisce una delle espressioni che assume il congedo della ragione dallo sforzo di misurarsi con le domande riguardanti le questioni ultime della condizione umana.
A partire da queste premesse la ricerca si è andata concentrando, nella sua seconda parte, su alcuni sviluppi particolarmente significativi che la riflessione intorno ai temi sin qui considerati ha avuto nell’ambito della filosofia moderna e contemporanea.
Attenzione specifica viene dedicata all’esame di quello che per brevità si può qui definire il paradigma liberale, in riferimento sia ai suoi fondamenti nell’ambito della filosofia politica moderna (Voltaire, Locke, Kant, Stuart Mill), sia alla variegata riformulazione attuale di tale paradigma (Rawls, Habermas, Dworkin, Nozick), con l’intento di approfondire le implicazioni degli spunti critici appena sopra accennati. Infatti è nell’ambito della pluralistica famiglia di teorie liberali che gli aspetti problematici richiamati emergono con particolare evidenza. Si sono altresì valorizzati gli elementi utili che possono emergere, ai fini dell’argomento trattato, dal dibattito attuale tra liberalismo e comunitarismo.
L’intenzione è poi, in fase conclusiva, quella di verificare la possibilità di riconnettere le due dimensioni dell’indagine sul male e la politica alle quali si è fatto riferimento all’inizio. In mancanza di tale connessione rischia, tra l’altro, di risultare gravemente carente ogni tentativo di rispondere, con piena coerenza rispetto ai principi della democrazia, al “male politico” per eccellenza, cioè al totalitarismo, fenomeno al quale si è fatto riferimento partendo da alcune delle interpretazioni maggiormente rilevanti emerse nell’ambito della filosofia del Novecento (e qui l’accento è stato posto soprattutto su Eric Voegelin e Hannah Arendt). Sembra infatti ragionevole sostenere che senza tornare a operare questa sintesi non sia possibile fornire che una risposta debole -e i cui limiti oggi emergono con evidenza sempre maggiore- alla sfida che l’esperienza totalitaria ha lanciato alla teoria e alla prassi democratiche, sfida che oggi i fondamentalismi rinnovano e che, per molti versi, trova impreparate le democrazie di inizio millennio.
D) Un percorso di studio che è stato sviluppato a fianco di quelli sino ad ora ricordati ha riguardato un ambito che si collega con la ricerca concernente Rousseau. Infatti, nella misura in cui in tale ricerca si era andato evidenziando non solo il debito profondo che il filosofo ginevrino ha contratto con il filone del moralismo seicentesco, ma in particolare con Pascal, l’attenzione è stata rivolta all’autore dei Pensieri. Ciò con l’intento sia di sondare l’effettiva presenza di quest’ultimo nella riflessione rousseauiana, sia di isolare un tema scarsamente studiato nel contesto filosofico italiano, cioè quello concernente la dimensione politico-giuridica del pensiero pascaliano sullo sfondo più generale del giansenismo francese del ‘600, con specifico riferimento a tre autori cruciali in tale ambito, cioè Arnauld, Nicole, Domat.
La traccia seguita si è concretizzata in un volume in corso di pubblicazione, i cui contenuti possono essere sintetizzata come segue.
Costituisce la prima monografia e il primo studio sistematico in lingua italiana sulla componente politico-giuridica del pensiero pascaliano o, se lo si vuol dire in modo più conciso, sul “Pascal politico”. Tutta la pur frammentaria opera dell’autore dei Pensieri è stata considerata, poiché nulla può essere trascurato della sua riflessione per fare il punto sulla sua idea della politica e del diritto. La ricerca ha richiesto molti anni ed è stata sviluppata in dialogo costante con i maggiori esperti di Pascal, soprattutto in area francese. E’ stata utilizzata l’ed. delle Oeuvres complètes a cura di J. Chevalier (Gallimard, Paris 1954), raffrontata con l’ed. L.Lafuma (Oeuvres complètes, Ed. Seuil, Paris 1963) e con i quattro volumi usciti delle Oeuvres complètes a cura di J. Mesnard (Desclée de Brouwer, Paris 1963-1992).
Propone un’interpretazione che non ricalca i percorsi tradizionali della letteratura su Pascal, ma tenta una strada nuova, la cui direzione consiste nel situare la riflessione politica pascaliana entro il contesto del politico moderno e nel valutare la portata di tale riflessione sullo sfondo del progressivo definirsi della “macchina politica della modernità” (C.Galli). Ne emerge la figura di un Pascal allo stesso debitore e critico delle categorie della politica moderna e nel quale l’apertura alla dimensione della trascendenza nel senso cristiano-cattolico consente di misurare i limiti del processo di secolarizzazione che investe la prassi e il pensiero politici in quello scorcio storico-culturale decisivo che è il ‘600. Al fine di sondare questa parte Pascal è messo in dialogo -oltre che con i maggiori rappresentanti di Port-Royal (Arnauld, Nicole, Domat)- con altri autori, tra i quali ricordo in particolare Machiavelli, Hobbes, Spinoza, Locke, Rousseau, Marx. La scelta non è ovviamente casuale: si tratta infatti di punti di riferimento non eludibili se si intende vagliare, dal punto di vista teoretico, il nesso tra religione, storia e politica, tema che rappresenta uno dei fili conduttori del lavoro.
All’ermeneutica del finito -per la quale Pascal costituisce un autore essenziale nell’ambito della filosofia moderna (che non lo si sia visto quanto meritava, salvo alcune eccezioni, è in verità sorprendente)- corrisponde, come si argomenta nel libro, l’idea di un ordine politico della ragionevolezza, che prende congedo dalle premesse del giusnaturalismo (medievale e moderno), ma che non si fa restringere per questo entro le categorie del giuspositivismo. L’impronta è piuttosto quella di una ragione del provvisorio che assume come intrascendibile, nella condizione mondana dell’uomo, ciò che in Descartes costituisce invece solo l’escrescenza rispetto alla certezza cui la ragione può sempre, se ben guidata, pervenire.
La politica come ordine possibile della contingenza si contrappone alla ratio geometrica che pretende di imporre il suo ordine a ogni dimensione dell’esistenza umana. Ovvia la distanza, oltre che da Descartes (ma con sfumature, rispetto a quest’ultimo, che nel libro vengono sottolineate), anche, relativamente a questo punto, dal progetto hobbesiano, che ruota tutto intorno alla convinzione di poter realizzare una giustizia basata sulla scienza nella sua “infallibilità” (Leviatano, I, 5). Ma ovvia la distanza anche dall’idea di poter ricondurre la politica al solo codice della “forza”, poiché, dopo che il potere del “partito dominante” si è affermato sulla base di essa (Pensées, ed. Chevalier, fr.289), si avvia, nel resoconto pascaliano dell’origine del politico, un processo -che ho ritenuto di poter definire con il termine di redenzione dalla violenza originaria- basato sul nesso “immaginazione”->”abitudine”->”costume”. Esso rende l’autorità “mite” e “volontaria” (fr.243), nonché attenta ai “giusti desideri” dei membri della società (Tre discorsi sulla condizione dei Grandi [III]) e la dispone -attraverso il consenso che con ciò ottiene (il carattere volontario, appunto, non più solo imposto)- a rispondere alla “fame di giustizia”, cioè a quanto rimane nell’uomo, pur dopo la caduta, della sua “grandezza”.
Si tratta di una giustizia da pensare e costruire entro la radicale contingenza legata alla disproportion; quindi senza le rassicuranti garanzie fornite dalla partecipatio della legge umana alla legge eterna e senza possibilità neppure di poter pensare a un’analogia di tipo ontologico tra questi due livelli. Quindi giustizia costitutivamente provvisoria, articolata sul bon sens e sulla capacità di far tesoro dell’esperienza, che consente di accumulare cognizioni utili per assicurare la durata dell’ordine (palese qui il collegamento tra lo sperimentalismo della scienza pascaliana, da un lato, e, dall’altro, l’organizzazione della società politica, che è artificio da costruire pezzo per pezzo e da mantenere con l’arte di una prudente saggezza, come aveva già sottolineato Montaigne). E giustizia fondata, in ultimo, anche sulla capacità di autoregolazione e autocontrollo dell’ “amor proprio”, che si disciplina in vista di un più sicuro raggiungimento dei suoi fini rispetto a quelli che si potrebbero ottenere senza tale disciplinamento, cioè non limitando, in condizioni di reciprocità, i modi di esercizio di tale passione, che può essere politicamente produttiva e non distruttiva. Nicole riprenderà questa parte del pensiero pascaliano e la farà transitare alla “morale dell’interesse” illuminista (H.Gouhier). Tra redenzione dalla violenza originaria e autodisciplina ragionevole dell’amor proprio si delinea un ordine che, pur non essendo quello della vera giustizia (da cui, dopo il peccato originale, l’uomo è tagliato fuori per sempre), è comunque tale da costituire un “tableau” dell’ordine della carità (fr.284).
In senso profondamente anti-agostiniano, la carità -intesa come oblazione gratuita di sé al “corpo di membra pensanti” costituito degli eletti- e giustizia -intesa invece come costituzione di un ordine giuridico basato sulla garanzia reciproca degli interessi individuali mediata dal diritto- si scindono. E però, se la carità non può costituire un principio di ordinamento della società politica, può funzionare come costante riserva critica nei confronti di essa. Da un punto di vista religioso, rispetto al modello medievalistico della respublica christiana, l’eccedenza della carità la salva da irrigidimenti legalistici e la restituisce alla sua purezza. Da un punto di vista politico tale eccedenza preserva la distinzione dei piani tra religione e politica e connota in senso laico la società politica quale emerge dalle riflessioni pascaliane.
Quanto detto dovrebbe servire a riscattare Pascal anche dalla critica di “scetticismo” e/o nichilismo in chiave politica. Nell’ambito dell’ordine della ragionevolezza esistono e sono operanti infatti criteri di legittimità che ci consentono di distinguere una società politica da una “tyrannie”: come detto, mitezza nell’esercizio dell’autorità, protezione in funzione della pace, soddisfazione dei giusti desideri dei membri della società, garanzia del diritto come condizione del perseguimento dell’interesse individuale, mantenimento della distinzione degli “ordini di grandezza” (corpi, spirito, carità). E’ appunto in relazione a ciascuno di questi aspetti che opera il confronto con gli autori precedentemente ricordati; ciò in vista di un tentativo di collocazione storico-teoretica di Pascal nell’ambito della politica moderna. E opera anche, per quanto riguarda un aspetto specifico ma non certo secondario, nel senso di verificare come e sino a che punto sia possibile e produttivo applicare a Pascal il modello combinato della “conservazione” e dello “scambio” che caratterizza le origini del politico moderno (G.Borelli, Ragion di Stato e Leviatano, Il Mulino, Boogna 1993, e bibliografia connessa). Esistono in Pascal numerosi elementi di convergenza con questo modello, forse poco spesso sottolineati; ma è anche vero che Pascal è utile come filtro critico rispetto ad esso.
Risulta evidente che tutto quanto detto richiede l’esame dei temi più noti del pensiero pascaliano (il divertissement, le dinamiche dell’amor proprio, la vanità del mondo, la funzione della “figura”, cioè del simbolico, ecc.). Tali temi nel saggio vengono considerati come parti di un’ “analitica esistenziale” (V. Carraud) estremamente fertile di implicazioni non solo per l’argomento del libro, ma per l’analisi delle variegate sfaccettature del soggetto moderno. Qui risalta l’estrema importanza dell’immagine dell’uomo pascaliana ai fini di un’indagine filosofica che punti a studiare la costituzione e anche le interne aporie dell’individualismo quale prende forme nella modernità.
Infine, vi è la questione della secolarizzazione. In questo caso viene valorizzato, sullo sfondo della crisi aperta dalla Riforma, il confronto-scontro tra Pascal e i gesuiti. Gli uni e gli altri sono presentati come idealtipi di due atteggiamenti i quali, pur nell’opposizione che li divide, non arrivano a far fronte in modo efficace al processo secolarizzante tipico del moderno, lasciando così un’eredità che -quando attualmente ragioniamo intorno al tema del rapporto tra religione e politica- ci si ripresenta, mutatis mutandis, con una sorprendente continuità quanto al suo significato di fondo. Nel contesto storico del ‘600 si ha, per un verso (gesuiti) un razionalismo religioso che tende a incontrare e anche ad accompagnare lo sviluppo del moderno come secolarizzazione per effetto dell’enfasi posta sulla necessità di un compromesso con il mondo (con la conseguente riduzione tendenziale della religione a morale, cioè a “religione civile”). All’opposto (Pascal) si ha una posizione che -nella misura in cui enfatizza, contro l’immanentizzazione della trascendenza imputata ai gesuiti, la disproportion tra trascendenza e storia- rischia di fissare come irrelati i due termini, rimanendo così anche subordinata all’avversario protestante, in particolare luterano.
E’ l’argomento che chiude il libro: lo chiude lasciandolo al contempo aperto, se è vero che questo dualismo rappresenta ancora la croce del cristianesimo e delle grandi religioni universalistiche ai giorni nostri, sovente portate a concedere troppo al mondo e a diventare puntelli motivazionali di fronte a democrazie in crisi di consenso, ma altrettanto spesso tentate di chiudersi al mondo in una sorta di clausura mistica che paga il prezzo di abbandonare il mondo a se stesso e fa cadere il potenziale critico-emancipativo della carità, così come la possibilità di confronto con i cittadini non sensibili religiosamente.
1a) RICERCHE FINANZIATE CON FONDI MINISTERIALI, DEL C.N.R, DELL’UNIVERSITA’ DI PERUGIA:
-“Il dibattito nel marxismo italiano degli anni ’70” (finanziamento 60%, anni 1979-’82)
-“Gli usi del linguaggio. Bilancio della filosofia analitica” (finanziamento CNR anni 1982-’84)
-“Pensiero e linguaggio tra ‘600 e ‘700” (finanziamento 60%, anni 1982-’84)
-“Rilevanza etica e politica del rapporto comunicazione, persuasione, verità” (finanziamento 40 %, anni 1982-’84)
-“Linguaggio, azione, intenzionalità, ragione” (finanziamento CNR, anni 1985-’87)
-“Formalismo etico e persona. Fondamenti trascendentali e morali” (finanziamento 40 %, anni 1985-’87)
-“Ermeneutica e linguaggio” (finanziamento 60 %, anni 1985-’87)
-“Per una fondazione della razionalità pratica (finanziamento CNR, anni 1988-’91)
-“Razionalità, politica e storia alle origini della modernità (Descartes, Voltaire, Rousseau) (finanziamento 60%, anni 1988-’90)
-“Modelli della razionalità e versioni della democrazia nella filosofia politica contemporanea” (finanziamento 60 %, anni 1990-’92; di questa ricerca è stato coordinatore)
-“Itinerari della filosofia pratica contemporanea: verso una nuova razionalità” (finanziamento 40 %, anni 1990-’92)
-“Azione e ragione: implicazioni epistemologiche, morali, e politiche” (finanziamento CNR, anni 1993-’95)
-“Teodicea e politica nella filosofia di J.-J. Rousseau” (finanziamento 60%, anni 1994-’96)
-“Verso una ragione argomentativa: implicazioni epistemologiche, morali e politiche” (finanziamento CNR, anni 1995-’97)
-“Il problema del male tra etica e politica nella filosofia del Novecento” (finanziamento 60 %, anni 1997-’98)
-“Ricerche sulla persona tra antropologia ed etica applicata” (Finanziamento dei Programmi di ricerca di rilevante interesse nazionale, ex 40 %, anni 1998-’99; in questa ricerca è responsabile dell’Unità di Perugia)
-“L’evoluzione del rapporto uomo-natura nella modernità: dal XVII secolo alle biotecnologie contemporanee. Implicazioni antropologiche, epistemologiche, etico-politiche” (Progetto di Ateneo, 1999-2001)
-“Cosmopolitismo, democrazia e globalizzazione” (Progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale. Cofinanziamento MIUR – 2002-2004). Coordinatore Prof. Giuliano Marini (Università di Pisa). R. Gatti: responsabile dell’unità di Perugia.
-“Trascendenza e politica: categorie e pratiche della secolarizzazione” (Progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale. Cofinanziamento MIUR – 2004-2006). Coordinatore Prof. Giuliano Marini (Università di Pisa). R. Gatti: responsabile dell’unità di Perugia
-“Teorie e pratiche della sfera pubblica (Progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale. Cofinanziamento MIUR –2006-2008). Coordinatore Prof. Michele Nicoletti (Università di Trento). R. Gatti: responsabile dell’unità di Perugia
-“Politica e verità” (Progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale. Cofinanziamento MIUR –2008-2010). Coordinatore Prof. Michele Nicoletti (Università di Trento). R. Gatti: responsabile dell’unità di Perugia
-Convegno su “Sovranità, vita, politica” (Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli, 14-15 giugno 2002)
-Convegno su “Spazi e simboli dell’identità politica”, organizzato dal Centro “Miti, simboli e politica” dell’Università di Messina (Villa “Pace”, Messina, 16-17 gennaio 2003)
-Relazione al seminario “Dove vanno le istituzioni?” (LUMSA, 29 marzo 2003) nell’ambito del ciclo di incontri in preparazione della XIX Settimana sociale dei cattolici italiani (“Etica e istituzioni della democrazia: la cittadinanza incompiuta”)
-Presentazione, insieme con F.D’Agostino e C.Vasale, del libro di G.Cotta, La nascita dell’individualismo politico (Il Mulino 2002) presso la LUMSA (Roma, 11 aprile 2003)
-Conferenza su “Il totalitarismo tra male radicale e banalità del male: a partire da H. Arendt” (M.E.I.C. di Mantova, 22 maggio 2003)
-Relazione al Convegno internazionale su Leone XIII (Perugia, Sala del Dottorato, 29 maggio-1 giugno 2003). Titolo della relazione: “Persona, società, libertà: il problema della democrazia in Luigi Sturzo”)
-Relazione al seminario annuale di studi del Centro di studi politico-sociali di Aritzo (Nuoro, 29 agosto 2003). Titolo: “Capitalismo, globalizzazione e democrazia”
-Relazioni al seminario organizzato dal Centro internazionale “Rondinella per la pace” (Arezzo, 3 ottobre 2003). Titolo della relazioni: “Il problema della democrazia nel Novecento: modelli teorici a confronto” (mattino) – “La filosofia politica del Novecento di fronte al fenomeno totalitario” (pomeriggio)
-Relazioni dal titolo “Democrazia e società civile” e “L’identità culturale dell’Europa”, nell’ambito del ciclo di incontri di formazione socio-politica organizzati dall’Ufficio sui problemi sociali della Archidiocesi di Perugia (Perugia, Centro di Montemorcino, 9 e 22 ottobre 2003)
-Partecipazione, insieme con M.Volpi, L.Caselli, R.Balduzzi, alla tavola rotonda su “Le radici cristiane dell’Europa” presso il Centro S.Martino di Perugia (8 novembre 2003)
-Relazione con G.Rossi al seminario, organizzato dal M.E.I.C. di Foligno, dal titolo “Democrazia e cittadinanza multiculturale” (Foligno, palazzo Vescovile, 15 novembre 2003)
-Relazione al Convegno su “Democrazia e bene comune”, organizzato presso la Cittadella di Assisi (28-29 novembre 2003). Titolo della relazione: “Democrazia e capitalismo. La cittadinanza incompiuta”
-Relazione all’Istituto “Veritatis splendor”, Bologna, 17 gennaio 2004. Titolo della relazione: “Dalla democrazia competitiva alla democrazia deliberativa”.
-Conferenza presso il M.E.I.C. di Parma (26 gennaio 2004). Titolo: “Capitalismo e democrazia: i dilemmi della cittadinanza nell’epoca della globalizzazione”.
-Relazione al Convegno internazionale dell’Istituto “V.Bachelet” sul tema “Democrazia e società civile in Europa” (Roma, 13-14 febbraio 2004). Titolo: “Diritti a sovranità limitata: qualche considerazione su capitalismo e democrazia”
-Relazione al Seminario di studio su “Giustizia e amore: forme della reciprocità” (Macerata, Dipartimento di Filosofia e Scienze umane, 11-12 maggio 2004)
-Seminario al Dottorato di Filosofia politica dell’Università dell’Insubria sul tema “Il soggetto politico in Hobbes, Locke, Rousseau” (17-18 maggio 2004)
-Seminario presso l’Università di Urbino su “Kratos ed ethos: il male nella politica” (Università, Facoltà di Giurisprudenza, 17 settembre 2004)
-Presentazione, presso la sede della Provincia di Lucca, con P.P. Portinaro, G.Jacono, L.Baccelli, del volume AAVV, I concetti del male (Einaudi, Torino 2000)
-Seminario, nell’ambito del corso di Filosofia politica, su “Comunità e libertà: il Contratto sociale di Rousseau nella tradizione del repubblicanesimo moderno”
-Congresso internazionale su “Mounier cent’anni dopo” (Roma, Università Salesiana, 13-16 gennaio 2005). Titolo: “Mounier in Italia: tra filosofia e politica”
-Tavola rotonda su “Attualità della costituzione” (Perugia, Sala dei Notari, 27 gennaio 2005)
-Seminario con A.Ferrara, M.Nicoletti, E.Papasogli, G.Cotta su “Il male politico: prospettive a confronto”” (Università LUMSA, Roma, 14 marzo 2005)
-Tavola rotonda con A.Fabris, L.Alici e F.Viola, per la presentazione dei volumi AAVV, Forme della reciprocità, a cura di L. Alici, e AAVV, Forme della cooperazione, a cura di F. Viola (Il Mulino, Bologna 2004) (Università di Macerata, Dipartimento di Filosofia, 16 marzo 2005)
-Tavola rotonda conclusiva delle “Giornate Bobbio”, con P.P. Portinaro, V.Mura, C.Revelli, (Camera di commercio di Sassari, 6-8 aprile 2005). Titolo: “Il buongoverno”
-Convegno su “L’insula come luogo dell’anima” (Complesso S. Lorenzo, Napoli, 20-21 maggio 2005). Titolo:” L’isola come metafora dell’impolitico nell’autobiografia di Rousseau”
-Seminario presso il Dottorato di Filosofia politica dell’Università di Padova (Facoltà di Scienze politiche) su “Il problema della libertà politica nel Contratto sociale di Rousseau” (17 giugno 2005)
-Convegno su “Attualità del Codice di Camaldoli” (Vallombrosa, 8 luglio 2005). Titolo: “Cultura, politica e democrazia: ripensare il Codice di Camaldoli”
-Convegno su “Le radici religiose dell’identità europea” (sala delle lauree, Facoltà di Lettere, Università di Perugia, 21 settembre 2005)
-Convegno su “La presenza di Agostino nella filosofia moderna tra ‘600 e ‘700” (Centro Studi agostiniani, Cascia, 7-8 ottobre 2005). Titolo: “ ‘Quand un jour le voile sera tiré’: il dialogo interiore nelle Confessioni di Agostino e Rousseau”
-Relazione alla Scuola estiva di alti studi di Acqui Terme (11-12 ottobre 2005). Titolo: “Origine e aporie del concetto moderno di comunità: a partire da Rousseau”
-Tavola rotonda con E. Severino e P. Prodi su “La secolarizzazione italiana” (Sala De’ Notari – Perugia, 24 novembre 2005)
-Relazione sul tema “Laicità e libertà” al Seminario Teologico di Fermo (11 febbraio 2006)
-Seminari nell’ambito del progetto di ricerca biennale su “Forme storiche del bene condiviso: virtù, pratiche di vita, istituzioni” (3 aprile e 27 giugno 2006-Dipartimento di filosofia e Scienze umane Università di Macerata)
-Relazione su “Democrazia: il valore delle regole” al Convegno su “Etica delle relazioni” (Sala De’ Notari – Perugia, 4 maggio 2006)
-Relazione su “Il carattere impolitico del moderno: Hobbes, Locke e Rousseau” nell’ambito del Seminario di studi su “Convivenza e partecipazione: forme del bene condiviso” (Università di Macerata 9-10 maggio 2006)
-Relazione, nell’ambito dei Seminari di Teoria politica dell’Università di Pavia, su “Dilemmi del contrattualismo moderno” (Facoltà di Scienze Politiche -16 maggio 2006)
-Relazione su “Religione e politica” per la Sezione perugina della Società Filosofica Italiana (Perugia 31 maggio 2006)
-Relazione su “Geometrie dell’interiorità: Agostino e Rousseau” nell’ambito del secondo ciclo di seminari su “La simbolica dello spazio” (Centro studi di simbolica politica – Messina, 8-9 giugno 2006)
-Tavola rotonda con G. Dalla Torre e F. Monaco su “Laicità: una parola ambigua” nell’ambito della settimana teologica MEIC sul tema “A Dio e a Cesare: quale laicità?” (Camaldoli, 27-28 agosto 2006)
-Relazione su “Democrazia, bene comune, capitalismo: i dilemmi rimossi di un trinomio” al Convegno su “Bene comune e beni in comune” (Abbazia di Montegiove, 30settembre-1ottobre 2006)
-Relazione su “L’altro nell’io: le Confessioni di Agostino e di Rousseau” presso la Scuola estiva di alti studi di Acqui Terme (12-13 ottobre 2006)
-Relazione in occasione della presentazione dell’Enciclopedia filosofica Bompiani, Milano 2006 presso la sala del Consiglio comunale di Gualdo Tadino (24 febbraio 2007): “La filosofia come esercizio di ‘pensare cosa facciamo’ ”
-Relazione in occasione della presentazione dell’Enciclopedia filosofica Bompiani, Milano 2006 presso la Sala delle conferenze dell’Oratorio Santa Cecilia (Perugia, 17 aprile 2007): “Filosofia ed epoca del disincanto”
-Conferenza, nell’ambito del corso di Filosofia politica del Dipartimento di Scienze della politica dell’Università di Pisa (20 aprile 2007, Aula Magna – Facoltà di Scienze politiche): “Il contrattualismo di J.-J. Rousseau”[...]
-Relazione, nell’ambito del Seminario di studi su “Convivenza e partecipazione: forme del bene condiviso” (Dipartimento di Filosofia, Università di Macerata, 23 aprile 2007): “Hobbes, Locke, Rousseau: per la critica del politico moderno”
-Seminario, nell’ambito del corso di Filosofia sociale del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze (10 maggio 2007): “Legame sociale e comunità politica in J.-J. Rousseau”
-Presentazione, presso l’Università per gli stranieri di Perugia, del libro di D. Spini, La società civile postnazionale, Meltemi, 2007 (21 maggio 2007)
-Relazione, presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Perugia, al Seminario (30 maggio 2007): “Le radici della secolarizzazione agli esordi del moderno”
-Relazione, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, al Convegno internazionale su “1657-2007. Le Lettere provinciali oggi” (25 ottobre 2007): “Il problema della giustizia in Pascal: un confronto tra le Provinciali e i Pensieri”
-Presentazione del volume collettaneo Giustizia, diritto, logiche del dominio, a cura di A. De Simone, Morlacchi, Perugia 2006, presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Urbino (30 ottobre 2007)
-Partecipazione al ciclo di conferenze “Il borgo dei filosofi” (Avellino, 12-17 novembre 2007), con una relazione su “Identità e tolleranza nella società multiculturale”.
-Relazione al LXVII Seminario di Filosofia” su “La politica tra violenza, tolleranza e riconoscimento” (Assisi, 23-24 novembre 2007). Titolo: “La tolleranza nel liberalismo moderno”.
-Relazione al Convegno dell’Università dell’Insubria (sede di Como) sul tema “Corpo politico e corpo religioso” (14 dicembre 2007). Titolo della relazione: “Corpo politico e corpo mistico: qualche considerazione sul problema della giustizia in Pascal”.
-Direzione, nell’ambito del Convegno nazionale annuale dei dottorandi di Reggio Emilia (21-24 gennaio 2008), della Sezione sulla Filosofia politica (giorno 24).
-Relazione, nell’ambito del Convegno organizzato dalla Scuola superiore di perfezionamento S. Anna di Pisa sul tema “Laicità e principio di non discriminazione” (19 marzo 2008). Titolo della relazione: “Secolarizzazione e ‘post-secolarizzazione’: una proposta di lettura a partire da Pascal”.
-Intervento alla presentazione del libro R. Gatti, ‘L’impronta di ciò che è umano’, Saggi di filosofia, PLUS, Pisa 2007 (con F. Cassano, F. Papa, V. Sorrentino): Università di Bari, Facoltà di Giurisprudenza (11 aprile 2008)
-Relazione al Convegno su “La cura filosofica”, organizzato dal Dipartimento di Filosofia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia (Sala della Vaccara, Perugia, 9 maggio 2008). Titolo della relazione: “Filosofia e amore per il mondo”.
-Relazione alla Giornata di studio organizzata dalla Scuola di studi superiori S.Anna di Pisa (sul tema “Religione, politica e principio di non discriminazione”. Titolo della relazione: “Secolarizzazione e ‘post-secolarizzazione’: una proposta di lettura a partire da Pascal” (27 maggio 2008)
-Relazione al Convegno organizzato dal Centro di studi filosofici di Gallarate sul tema “Valori religiosi e valori politici” (14-16 giugno 2008). Titolo della relazione: “Valori religiosi e valori politici: note sulla società ‘post-secolarizzata’ a partire da Jürgen Habermas”.
-Relazione al Convegno organizzato dal Centro di Etica applicata del Collegio Borromeo di Pavia. Titolo della relazione: “Etica, ontologia, politica: la natura umana e il ‘dio mortale’” (16-17 settembre 2008)
-Relazione all’incontro tra G.Marramao-A.Cassano-R.Gatti in occasione di “Umbria Libri” 2008: “In fondo al male” (6 novembre 2008). Titolo dell’incontro: “Il male e il potere”.
– XV Convegno internazionale – Praia a Mare -22-24 maggio 2009 Titolo generale: “Educare all’onesta, oggi. Nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni”. Partecipazione alla tavola rotonda dal titolo: “Educazione e politica oggi”.
-Relazione alla Summer School dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore Convegno sul tema “Le ragioni del lavoro, oltre la crisi” (Milano, 2-5 luglio 2009). Titolo della relazione: “Questione antropologica e questione sociale”
-Relazione al Dipartimento di Filosofia e teoria delle scienze dell’Università di Venezia sul tema: “Il futuro della democrazia”, 13 ottobre 2009. Titolo della relazione: “Consenso etico e società multiculturale”.
-Relazione al convegno organizzato dal Centro ricerche di iconologia simbolica politica e del sacro: Teramo 14-15 gennaio 2010. Titolo generale: “Corpo, politica e territorio. Luoghi e non luoghi della corporeità”. Titolo della relazione: “Corpo mistico e corpo politico in Pascal”
-Relazione alla scuola di dottorato in Scienze umanistiche del Dipartimento di Filosofia e teoria delle scienze dell’Università di Venezia sul tema: “Trascendenza, storia e politica: una lettura della secolarizzazione” (Venezia 25 gennaio 2010)
-Ciclo di relazioni al liceo Classico di Foligno (30 gennaio 2010, ore 8,30 e 10,45: “Democrazia e tolleranza” e “Cittadinanza e multiculturalismo”; 4 febbraio ore 16,00: “Religione e democrazia”)