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Un’utopia modesta.
Saggio su Albert Camus

Roberto Gatti

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Roberto Gatti, Marta Bartoni, Laura Fatini, Un’utopia modesta. Saggio su Albert Camus,
Pisa, Edizioni ETS, 2017

 

PRESENTAZIONE
di Roberto Gatti

Le mode, anche quelle culturali, sono come Saturno, che divorava i propri figli. Oppure come il pendolo, che oscilla, in una perenne ripetizione dell’uguale, senza mai arrestarsi. Le mode, in quanto tali, sono diverse, ma allo stesso tempo ognuna è identica alle precedenti e a quelle che la seguiranno, poiché tutte costituiscono apparentemente un cambiamento, ma di fatto rivelano un’invariabile tendenza degli esseri umani a non poter sostare in ciò che posseggono, vedono, godono in un determinato momento. Blaise Pascal, a questo proposito, ci ha tramandato l’immagine dell’individuo che, mentre da un lato tende al riposo, dall’altro non riesce a restare da solo fermo in una stanza e si getta costantemente fuori di sé per rispondere al richiamo della sua inquietudine e per sfuggire alla noia. Così accade anche alle collettività.

Albert Camus è una vittima illustre delle mode culturali. È stato al vertice dell’attenzione, nei quartieri alti della cultura non meno che tra i semplici lettori di ogni giorno (soprattutto giovani), per molti anni - diciamo tra gli anni ’40 e la fine degli anni ’60 del secolo scorso, insomma fin quando l’esistenzialismo ha avuto prima grande successo, poi via via un’attenzione sempre meno decisa, ma mai estinta del tutto. Nel frattempo altre mode sono subentrate, e all’autore de Lo straniero è toccato il destino di tanti altri scrittori: non scompaiono mai del tutto dagli scaffali delle librerie e delle biblioteche, ma tendono ad accumulare polvere. Neppure il cinquantesimo anniversario della morte ( 6 gennaio 2010) ha smosso più di tanto le acque.

Potremmo chiederci quanto contano la celebrità, la diffusione, il successo di pubblico di un autore e rispondere, con accettabile plausibilità, che forse conta parecchio, e legittimamente, per i sociologi della cultura, per i critici letterari à la page, per gli estensori delle pagine culturali dei quotidiani. Per altri conta senz’altro meno, visto che, specie se si pratica la professione dello studioso di filosofia o del critico serio della letteratura e del teatro, il problema è piuttosto valutare, portandosi un po’ a lato della via gremita e brulicante dei lettori alla giornata, la rilevanza teorica di uno o dell’altro artista, filosofo, saggista, che sia. Che poi quanto scrivono e dicono studiosi di filosofia o critici letterari possa o meno servire a rinvigorire la cosiddetta attualità degli appena menzionati conta, forse; ma nessuno è così presuntuoso da pensare che un libro, un seminario, un congresso, un articolo di giornale, qualche post di qua o di là in rete, una trasmissione fortunata in televisione, possano spostare più di tanto l’ago del gradimento e, soprattutto, dell’attenzione ponderata su un artista, un filosofo, ecc... La concorrenza è grande e insidiosa e neppure i maggiori sembra possano competere con X-Factor, Il Grande Fratello, Amici e via così.

Visto che, comunque, almeno per alcuni studiosi, la ricerca su un autore o su un testo contano di per sé - cioè servono per tornare sempre di nuovo a cercare di mettere in campo un livello più adeguato di comprensione della sua opera -, ha senso parlare ancora di Camus. Ha senso come lo ha per ogni scrittore che abbia segnato un’epoca e che è in grado ancora di toccare molti nervi scoperti, sollecitando la volontà di capirlo e di capire, attraverso lui, il nostro tempo. Questo è, e rimarrà sempre, il destino e il ruolo dei classici che troviamo nelle più svariate espressioni dell’arte, della filosofia, della scienza. E qui sta, anche oggi, la ragione per riflettere sul loro lascito.

Troppo facile aspettarsi, da parte del lettore, che in questa Premessa gli offriamo una lettura anticipata del libro. Per i più frettolosi c’è l’Indice, per chi ha più calma, tempo e voglia c’è il libro. Chi avesse desiderio di leggerlo deve, crediamo, solo sapere che non è l’ennesima introduzione a Camus, né la centesima sua apologia e nemmeno la tirata ideologica, pro o contro, di cui è piena la letteratura su di lui. Questo ci avrebbe veramente reso anacronistici e inutili. Abbiamo cercato di evitare entrambi i difetti offrendo una lettura critica della sua produzione saggistica e letteraria, senza dimenticare i riferimenti al teatro. L’obiettivo è pensare Camus oggi, cioè in un panorama culturale e storico che ha numerosi aspetti in comune con quello in cui si trovò a operare lo scrittore algerino. Non abbiamo mai giocato la carta, facile e scontata ma banale (ci sia concesso), dell’attualità; piuttosto, in un certo senso, proprio l’opposto, vale a dire quella dell’inattualità, che non è il rovescio speculare della prima. Consiste invece nella potenza critica che emerge dalle sue opere come metodo per guardare, analizzare, capire la realtà, il mondo, il suo presente e il suo futuro, se stessi. Un metodo che egli ha applicato alla ricerca delle sue origini familiari nello sforzo di rispondere alla domanda, quanto mai assillante per lui, consistente nel chiedersi chi egli fosse, a fronte di un tormento, che non l’ha mai abbandonato, di dover sottostare per sempre a una frammentazione della propria identità (Il primo uomo è, in questo ambito tematico, un testo essenziale). E poi l’ha applicato alla descrizione del suo primitivo immedesimarsi col mondo-natura (Nozze) e, in seguito, del mondo storico, che lo ha strappato a questa immedesimazione e lo ha chiamato, nei saggi, nei romanzi, nel teatro, all’impegno verso il mondo della storia e della politica (L’uomo in rivolta, La peste, I Giusti). Un impegno che non si separa però mai dalla convinzione che la storia va affrontata con una consapevolezza filosofica di cui, prima del testo sulla rivolta, Camus aveva posto le basi ne Lo straniero e ne Il mito di Sisifo, dedicati alla fenomenologia dell’assurdo.

Valutando nel complesso la sua produzione, possiamo individuare l’incrocio in cui tutte le strade da lui tentate - in teatro, nei saggi, nei romanzi - si incontrano, il problema cruciale della sua produzione, il filo rosso che consente di leggerla secondo un’ottica unitaria e che oggi ci provoca ancora. Camus lo fa dire a Nietzsche: come vivere in un mondo in cui Dio è stato dichiarato morto? Come vivere in questo mondo, però (e qui Camus critica Nietzsche), evitando di cadere nel quietismo dell’amor fati e impegnandosi, invece, nella ricerca di una morale che sappia fare a meno di Dio senza adagiarsi comodamente nell’atteggiamento nichilista (Camus non ha dubbi: la teoria dell’amor fati è nichilista fino all’osso). Qui è il nucleo filosofico dell’opera di Camus, cioè nello sforzo, che la percorre dall’inizio alla fine (sebbene con gradazioni e tonalità diverse), di giustificare razionalmente un’etica della rivolta in un’epoca che è stretta tra la violenza indiscriminata, da un lato (i lager dell’orrore nazista e stalinista), e la passività di fronte al nostro essere soli al mondo. Ma essere soli al mondo non vuol dire negare la possibilità di pensare insieme il modo migliore, cioè più umano, di vivere nel deserto. La parola e il discorso tra esseri imbarcati nella stessa avventura possono essere il modo di intessere un dialogo, sul terreno morale non meno che su quello politico, dal quale i valori comuni emergano dall’interlocuzione tra esseri ragionevoli. Ecco perché la menzogna è considerata da Camus il peggiore dei mali: interrompe la comunicazione, la tradisce, rischia di farla morire. E allora tutto lo spazio rischierebbe di essere occupato dalla violenza, quella esplicita e terribile dei totalitarismi, e quella del capitalismo, tanto più sottile quanto più insidiosa, perché preme non solo sui corpi ma sulle coscienze. Democrazia e parola libera si identificano. A partire da questo nesso Camus ha sempre creduto che fosse possibile motivare e sostenere una morale senza pretese di assolutezza e, contemporaneamente, non ipotecata dallo scetticismo.

Si conferma quanto accennato poco sopra: priorità del metodo. I contenuti sarà il dialogo a stabilirli facendosi guidare dal senso del limite, dalla consapevolezza di ciò che è nei poteri dell’uomo e di ciò che non lo è. Camus è, quindi, un po’ un Descartes che fonda il metodo non della ragione chiara ed evidente, ma della ragionevolezza, attenta alle situazioni, aperta alle critiche, disponibile a continui aggiustamenti. Con un solo imperativo categorico: la natura umana come fondamento, la cui dignità non deve e non può essere astrattamente presupposta, ma viene scoperta e precisata man mano che ci chiniamo a pensarla nel tempo e non più di fronte all’eternità.

La parola libera implica la tolleranza nei confronti di chi la pensa diversamente e soprattutto permette di coooperare con essi, al di là delle frontiere culturali, religiose, politiche. E, com’è noto, Camus si è mostrato particolarmente disponibile alla collaborazione e al confronto, per esempio con il mondo religioso, e cristiano in particolare. Ma la cooperazione, com’è noto, non conosce confini o, meglio, non dovrebbe conoscerli. Soprattutto, non è mai, in Camus, invocazione retorica, ma è fondata su un’ontologia della natura umana, che sarà carente quanto si vuole, ma ha almeno il pregio della chiarezza. Altri, nello stesso periodo di tempo in cui Camus scrive, toccheranno, magari con maggior perizia filosofica di lui, temi molto vicini. Tra di essi abbiamo voluto soffermarci brevemente nel libro, senza ovviamente trascurare altri, su Karl Löwith. Che Camus non l’abbia presumibilmente mai conosciuto e forse neppure letto non toglie nulla al valore dell’accostamento. Anzi, meno le affinità sono ovvie, più risultano talvolta interessanti dal punto di vista teorico. E questo vale, per esempio, anche per quanto concerne il confronto con Hannah Arendt.

Non occorre altro. Il resto vorremmo lasciarlo alla curiosità e all’interesse dei lettori e, in particolare, di chi crede che Camus non sia stato soltanto un romanziere, un uomo di teatro, un saggista dilettante, ma un filosofo dell’esperienza: vicino alla vita vissuta, è sempre pronto a soffrire sulla sua pelle i dolori e le gioie del mondo. Non conta poco, perché si tratta di una forma del filosofare su cui poco si è riflettuto, mentre molto c’è da riflettere, anche in connessione con altre espressioni della filosofia di quegli anni. Michel Onfray ha scritto cose interessanti su questo, con le quali ci confrontiamo nel corso del nostro libro.

Oggi la filosofia, di fronte all’indurirsi dei conflitti, dello sfruttamento, delle sofferenze che toccano ai dannati della terra, sembra, piuttosto che accostarsi a queste terribili realtà, rinchiudersi in teorie e in modi di espressione in cui la sofisticazione dei linguaggi e l’astrattezza degli argomenti cozzano con il drammatico appello di un pianeta sull’orlo del collasso e con la realtà di milioni di vittime del capitalismo globalizzato. Anche per questo tornare a meditare sull’utopia modesta di Camus può non essere un impegno fatuo.

Certo, il nostro libro può servire anche da introduzione per chi Camus non l’abbia mai frequentato; vuol dire che i lettori della prima ora non usufruiranno di una introduzione manualistica alla vecchia maniera (i manuali sono fatti per azzerare la curiosità di chiunque), ma di un ingresso in medias res, con la speranza che questo li porti, con maggiore curiosità, a leggere direttamente Camus avendo prima appreso, almeno, le grandi linee della sua produzione.

Anche per questo abbiamo inserito un capitolo sul teatro dello scrittore algerino, che completa il testo e mostra rapporti e differenze nella trattazione delle tematiche quando si passa dalla stampa alla scena. Niente di più errato si potrebbe dire quando si afferma, come qualche volta è stato fatto, che nel teatro Camus ripete passivamente, adottando una forma d’arte diversa, le stesse cose che scrive nei saggi e nei romanzi. C’è una dialettica anche di contenuti tra le varie forme espressive che egli impiega di volta in volta. E inoltre il palcoscenico gli offre uno spazio per filtrare originalmente quanto il lettore può trovare leggendo il Camus romanziere o saggista filosofico, politico, morale.

 

 

INDICE

Premessa

Capitolo Primo
A RITROSO: LA NOSTALGIA DEGLI INIZI
1. «Camminando nella notte»: il mistero delle origini
2. L’amore disperato della vita
3. Ascesi e sensualità: una mistica della natura

Capitolo Secondo
MEURSAULT E IL DESTINO MINERALE DELL’UOMO ASSURDO
1. «Oggi la mamma è morta»: chi è Meursault?
2. Tracce gnostiche
3. Una domenica e un destino
4. Aspettando l’alba...

Capitolo Terzo
SISIFO: L’INABITABILITÀ DEL MONDO
1. In terra straniera
2. La perdita del mondo: una metafisica dell’assenza
3. «Ma si tratta di vivere»
4. L’eterno ricominciare
5. Solitudine e infecondità

Capitolo Quarto
L’ORRORE E IL DOPO: VERSO L’“UTOPIA MODESTA”
1. Contro il nichilismo
2. Elogio della provvisorietà
3. Oltre Dostoevskij e Nietzsche
4. Rivolta sì, rivoluzione no
5. Sul male politico
6. «Nemesi, dea della misura»
7. Natura umana e politica
8. Libertà e giustizia
9. La violenza e la colpa
10.Felicità e dovere
11.Con Nietzsche oltre Nietzsche
12.La politica ragionevole

Capitolo Quinto
LA RIVOLTA ALLA PROVA: LA PESTE, UN SACERDOTE, UN MEDICO

Capitolo Sesto
GRIDANDO NEL DESERTO: LIBERTÀ E CADUTA
1. La bellezza del mondo e il dolore della storia
2. «Troppo tardi, troppo lontano»: sulla fragilità

Capitolo Settimo
LA PAROLA LETTA, LA PAROLA DETTA: IL TEATRO DI CAMUS
1. Premessa
2. Caligola: la «passione dell’impossibile»
Sintesi
3. Il malinteso
Sintesi
4. Lo stato d’assedio
Sintesi
5. I giusti
Sintesi

Capitolo Ottavo A MO’ DI CONCLUSIONE