Roberto Gatti, Politica e trascendenza. Saggio su Pascal,
Roma, Studium, 2013
PRESENTAZIONE
di Roberto Gatti
Il volume costituisce uno studio sistematico sulla componente politico-giuridica del pensiero pascaliano o, se lo si vuol dire in modo più conciso, sul “Pascal politico”. Tutta la pur frammentaria opera dell’autore dei Pensieri è stata considerata, poiché nulla può essere trascurato della sua riflessione per fare il punto sulla sua idea della politica e del diritto. La ricerca ha richiesto molti anni ed è stata sviluppata in dialogo costante con i maggiori esperti di Pascal, in area italiana e francese.
Propone un’interpretazione che non ricalca i percorsi tradizionali della letteratura su Pascal, ma tenta una strada nuova, la cui direzione consiste nel situare la riflessione politica pascaliana entro il contesto del politico moderno e nel valutare la portata di tale riflessione sullo sfondo del progressivo definirsi della “macchina politica della modernità” (Carlo Galli). Ne emerge la figura di un Pascal allo stesso tempo debitore e critico delle categorie della politica moderna e nel quale l’apertura alla dimensione della trascendenza nel senso cristiano-cattolico consente di misurare i limiti del processo di secolarizzazione che investe la prassi e il pensiero politici in quello scorcio storico-culturale decisivo che è il '600. Al fine di sondare questa parte Pascal è messo in dialogo - oltre che con i maggiori rappresentanti di Port-Royal (Arnauld, Nicole, Domat) - con altri autori, tra i quali ricordo in particolare Machiavelli, Hobbes, Spinoza, Locke, Rousseau, Marx. La scelta non è ovviamente casuale: si tratta infatti di punti di riferimento non eludibili se si intende vagliare, dal punto di vista teoretico, il nesso tra religione, storia e politica, tema che rappresenta uno dei fili conduttori del lavoro.
All’ermeneutica del finito - per la quale Pascal costituisce un autore essenziale nell’ambito della filosofia moderna (che non lo si sia visto quanto meritava, salvo alcune eccezioni, è in verità sorprendente) - corrisponde, come si argomenta nel libro, l’idea di un ordine politico della ragionevolezza, che prende congedo dalle premesse del giusnaturalismo (medievale e moderno), ma che non si fa restringere per questo entro le categorie del giuspositivismo. L’impronta è piuttosto quella di una ragione del provvisorio che assume come intrascendibile, nella condizione mondana dell’uomo, ciò che in Descartes costituisce invece solo l’escrescenza rispetto alla certezza cui la ragione può sempre, se ben guidata, pervenire.
La politica come ordine possibile della contingenza si contrappone alla ratio geometrica che pretende di imporre il suo ordine a ogni dimensione dell’esistenza umana. Ovvia la distanza, oltre che da Descartes (ma con sfumature, rispetto a quest’ultimo, che nel libro vengono sottolineate), anche, relativamente a questo punto, dal progetto hobbesiano, che ruota tutto intorno alla convinzione di poter realizzare una giustizia basata sulla scienza nella sua “infallibilità” (Leviatano, I, 5). Ma ovvia la distanza anche dall’idea di poter ricondurre la politica al solo codice della “forza”, poiché, dopo che il potere del “partito dominante” si è affermato sulla base di essa (Pensées, ed. Chevalier, fr.289), si avvia, nel resoconto pascaliano dell’origine del politico, un processo - che ho ritenuto di poter definire con il termine di redenzione dalla violenza originaria - basato sul nesso “immaginazione” -> ”abitudine” -> ”costume”. Esso rende l’autorità “mite” e “volontaria” (fr.243), nonché attenta ai “giusti desideri” dei membri della società (Tre discorsi sulla condizione dei Grandi [III]) e la dispone - attraverso il consenso che con ciò ottiene (il carattere volontario, appunto, non più solo imposto) - a rispondere alla “fame di giustizia”, cioè a quanto rimane nell’uomo, pur dopo la caduta, della sua “grandezza”.
Si tratta di una giustizia da pensare e costruire entro la radicale contingenza legata alla disproportion; quindi senza le rassicuranti garanzie fornite dalla partecipatio della legge umana alla legge eterna e senza possibilità neppure di poter pensare a un’analogia di tipo ontologico tra questi due livelli. Quindi giustizia costitutivamente provvisoria, articolata sul bon sens e sulla capacità di far tesoro dell’esperienza, che consente di accumulare cognizioni utili per assicurare la durata dell’ordine (palese qui il collegamento tra lo sperimentalismo della scienza pascaliana, da un lato, e, dall’altro, l’organizzazione della società politica, che è artificio da costruire pezzo per pezzo e da mantenere con l’arte di una prudente saggezza, come aveva già sottolineato Montaigne). E giustizia fondata, in ultimo, anche sulla capacità di autoregolazione e autocontrollo dell’“amor proprio”, che si disciplina in vista di un più sicuro raggiungimento dei suoi fini rispetto a quelli che si potrebbero ottenere senza tale disciplinamento, cioè non limitando, in condizioni di reciprocità, i modi di esercizio di tale passione, che può essere politicamente produttiva e non distruttiva. Nicole riprenderà questa parte del pensiero pascaliano e la farà transitare alla “morale dell’interesse” illuminista (H.Gouhier). Tra redenzione dalla violenza originaria e autodisciplina ragionevole dell’amor proprio si delinea un ordine che, pur non essendo quello della vera giustizia (da cui, dopo il peccato originale, l’uomo è tagliato fuori per sempre), è comunque tale da costituire un “tableau” dell’ordine della carità (fr.284).
In senso profondamente anti-agostiniano, la carità - intesa come oblazione gratuita di sé al “corpo di membra pensanti” costituito degli eletti - e la giustizia - intesa invece come costituzione di un ordine giuridico basato sulla garanzia reciproca degli interessi individuali mediata dal diritto - si scindono. E però, se la carità non può costituire un principio di ordinamento della società politica, può funzionare come costante riserva critica nei confronti di essa. Da un punto di vista religioso, rispetto al modello medievalistico della respublica christiana, l’eccedenza della carità la salva da irrigidimenti legalistici e la restituisce alla sua purezza. Da un punto di vista politico tale eccedenza preserva la distinzione dei piani tra religione e politica e connota in senso laico la società politica quale emerge dalle riflessioni pascaliane.
Quanto detto dovrebbe servire a riscattare Pascal anche dalla critica di “scetticismo” e/o nichilismo in chiave politica. Nell’ambito dell’ordine della ragionevolezza esistono e sono operanti infatti criteri di legittimità che ci consentono di distinguere una società politica da una “tyrannie”: come detto, mitezza nell’esercizio dell’autorità, protezione in funzione della pace, soddisfazione dei giusti desideri dei membri della società, garanzia del diritto come condizione del perseguimento dell’interesse individuale, mantenimento della distinzione degli “ordini di grandezza” (corpi, spirito, carità). È appunto in relazione a ciascuno di questi aspetti che opera il confronto con gli autori precedentemente ricordati; ciò in vista di un tentativo di collocazione storico-teoretica di Pascal nell’ambito della politica moderna. E opera anche, per quanto riguarda un aspetto specifico ma non certo secondario, nel senso di verificare come e sino a che punto sia possibile e produttivo applicare a Pascal il modello combinato della “conservazione” e dello “scambio” che caratterizza le origini del politico moderno (G.Borelli, Ragion di Stato e Leviatano, Il Mulino, Boogna 1993, e bibliografia connessa). Esistono in Pascal numerosi elementi di convergenza con questo modello, forse poco spesso sottolineati; ma è anche vero che Pascal è utile come filtro critico rispetto ad esso.
Risulta evidente che tutto quanto detto richiede l’esame dei temi più noti del pensiero pascaliano (il divertissement, le dinamiche dell’amor proprio, la vanità del mondo, la funzione della “figura”, cioè del simbolico, ecc.). Tali temi nel saggio vengono considerati come parti di un’“analitica esistenziale” (V. Carraud) estremamente fertile di implicazioni non solo per l’argomento del libro, ma per l’analisi delle variegate sfaccettature del soggetto moderno. Qui risalta l’estrema importanza dell’immagine dell’uomo pascaliana ai fini di un’indagine filosofica che punti a studiare la costituzione e anche le interne aporie dell’individualismo quale prende forme nella modernità.
Infine, vi è la questione della secolarizzazione. In questo caso viene valorizzato, sullo sfondo della crisi aperta dalla Riforma, il confronto-scontro tra Pascal e i gesuiti. Gli uni e gli altri sono presentati come idealtipi di due atteggiamenti i quali, pur nell’opposizione che li divide, non arrivano a far fronte in modo efficace al processo secolarizzante tipico del moderno, lasciando così un’eredità che - quando attualmente ragioniamo intorno al tema del rapporto tra religione e politica - ci si ripresenta, mutatis mutandis, con una sorprendente continuità quanto al suo significato di fondo. Nel contesto storico del '600 si ha, per un verso (gesuiti) un razionalismo religioso che tende a incontrare e anche ad accompagnare lo sviluppo del moderno come secolarizzazione per effetto dell’enfasi posta sulla necessità di un compromesso con il mondo (con la conseguente riduzione tendenziale della religione a morale, cioè a “religione civile”). All’opposto (Pascal) si ha una posizione che - nella misura in cui enfatizza, contro l’immanentizzazione della trascendenza imputata ai gesuiti, la disproportion tra trascendenza e storia - rischia di fissare come irrelati i due termini, rimanendo così anche subordinata all’avversario protestante, in particolare luterano.
È l’argomento che chiude il libro: lo chiude lasciandolo al contempo aperto, se è vero che questo dualismo rappresenta ancora la croce del cristianesimo e delle grandi religioni universalistiche ai giorni nostri, sovente portate a concedere troppo al mondo e a diventare puntelli motivazionali di fronte a democrazie in crisi di consenso, ma altrettanto spesso tentate di chiudersi al mondo in una sorta di clausura mistica che paga il prezzo di abbandonare il mondo a se stesso e fa cadere il potenziale critico-emancipativo della carità, così come la possibilità di confronto con i cittadini non sensibili religiosamente.
(Successivamente a questo testo è uscito, tra gli altri lavori su questo autore, Pascal. Opere complete. Testi francesi e latini a fronte, a cura di Maria Vita Romeo, Bompiani, 2021)