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Emilio o dell’educazione

a cura di Roberto Gatti

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J.-.J. Rousseau, Emilio o dell’educazione, edizione integrale,
a cura di Roberto Gatti, Brescia, Scholè, 2021

 

PRESENTAZIONE
di Roberto Gatti

Una nuova traduzione dell’Emilio si giustifica solo se offre qualche apporto nuovo alla conoscenza di quest’opera fondamentale di Jean-Jacques Rousseau e se, quindi, integra utilmente le traduzioni esistenti, siano esse redatte in lingua italiana o straniera. È bene quindi esporre, pur in sintesi, le caratteristiche salienti di questo lavoro.

1) Quanto al metodo, si tratta di una traduzione quanto più possibile fedele alla lettera del testo da cui deriva, cioè quello delle edizioni Gallimard, stabilito da Charles Wirz, presentato e annotato da Pierre Burgelin. Si tratta del quarto volume delle Oeuvres complètes, sous la diréction de B. Gagnebin et M. Raymond, Gallimard, Paris, 1959-1995, 5 voll.). I cambiamenti da me introdotti riguardano l’eliminazione di molti caratteri maiuscoli e la modifica della punteggiatura là dove è stato inevitabile per rispettare la grammatica italiana e anche per consentire una lettura più agevole. Oltre che ai più autorevoli dizionari contemporanei, ho fatto ricorso, quando necessario, ai dizionari francesi del XVII e XVIII secolo, che ho visto in https://www.lexilogos.com/francais_classique.htm, con particolare riferimento al Dictionnaire universel contenant generalement tous les mots françois, tant vieux que modernes, & les termes de toutes les sciences et des arts, par Antoine Furetière (1690); all’édition del 1727, revue et augmentée par Henri Basnage de Beauval & Jean-Baptiste Brutel de La Rivière; al Dictionnaire de l’Académie françoise (1694). La ricerca dedicata nel corso di tanti anni alla filosofia di Rousseau mi ha permesso di mettere a frutto, anche in questo lavoro, un’estesa bibliografia, di cui si trova riscontro negli scritti in cui ho trattato di lui, oltre che, in forma parziale, in appendice a questa traduzione.

2) Quanto ai suoi contenuti, l’elemento specifico è il tentativo di sondare con particolare attenzione gli aspetti filosofici dell’Emilio. La prima ragione di ciò è che tali aspetti sono essenziali per la loro rilevanza intrinseca. La seconda ragione è che, senza tenerne conto debitamente, finisce per mancare un fattore della massima importanza per la comprensione degli stessi aspetti pedagogici. L’ampio apparato di note dovrebbe rendere conto di questa impostazione e giustificarla dal punto di vista teoretico. A proposito di tale apparato, credo sia forse più corretto definirlo come un commento che accompagna la traduzione e che, oltre a cercare di renderla più chiara in molti punti, ha lo scopo di invitare a una lettura critica, almeno là dove è sembrata non solo proficua, ma anche necessaria. La terza ragione è che, seguendolo con pazienza, ho puntato a offrire la possibilità di ripercorrere, argomento per argomento, il procedere della riflessione di Rousseau che, attraverso varie e articolate tappe e molti anni, ha condotto infine all’Emilio. Ciò è stato fatto nella convinzione - che mi auguro condivisibile - secondo cui contestualizzare la maggiore opera pedagogica di Rousseau e seguire il modo in cui si dipana nel tempo - non senza variazioni e anche contraddizioni - costituisca un modo proficuo per ritessere le fila di una riflessione che si plasma progressivamente e che, in questo suo farsi, ci consente di cogliere meglio i suoi punti di forza, non meno che quelli sui quali mi è parso utile un approfondimento critico. La grandezza di un pensiero sta, com’è ovvio, anche nella sua interna complessità, nelle sue progressive acquisizioni e revisioni, nel suo proporsi a noi, ancora dopo più di due secoli, come un «problema», per usare il noto lessico di Ernst Cassirer.

È, di conseguenza impossibile o, per lo meno, non consigliabile, leggere questa traduzione senza seguirla, passo passo, attraverso le note, che consentono non solamente e non tanto di avvicinarsi al testo, ma di dialogare con il suo autore. Questo metodo risponde a ciò che rientrava nei disegni di Jean-Jacques, se è vero che già all’inizio dell’opera, dichiara di «jetter ses feuilles dans le public», nella consapevolezza di non avere alcun «partito» da difendere (o che lo difenda) e di aspettarsi, quindi, che sia il pubblico a esprimere il suo giudizio su quello che ha scritto. Il pubblico è necessariamente quello del suo tempo? Credo che una risposta positiva a questo interrogativo sarebbe la meno corretta. Per un autore letteralmente ossessionato dalla memoria che lascerà ai posteri, è anche il nostro giudizio che conta, malgrado il tempo passato; e, si sarebbe tentati di aggiungere, tempo passato solo dal punto di vista cronologico, non certo quanto al valore e al significato teorico dell’opera.

Per tali ragioni ho inteso proporre una lettura che si potrebbe definire attiva e critica dell’Emilio, cioè una lettura che, anche sulla scorta delle annotazioni che corredano il testo di Rousseau, lo renda presente in ragione delle questioni che egli affronta, che in parte sono quelle che ancora dobbiamo affrontare noi. L’Emilio è un «traité» - che assume sovente le forme del «roman» - sulla «constitution humaine», sul suo destino in un mondo che all’autore sembra quasi irrimediabilmente in preda alla decadenza, ma anche sui modi attraverso i quali è forse attuabile un cambiamento o, almeno, un rimedio al «mal [qui] est sur la terre», come troviamo scritto nella Professione di fede del vicario savoiardo. A chi lo sa osservare, l’universo mostra il suo ordine, la sua armonia, l’equilibrio delle sue parti, mentre il mondo umano ci pone di fronte agli occhi il disordine, il conflitto, l’ingiustizia, la violenza dei ricchi sui poveri, dei Grandi sui semplici, dell’apparenza sulla realtà, e poi la finzione, le maschere, la simulazione, la menzogna, il contrasto tra être e paraitre.

Il male sulla terra: questo sembra essere il problema anche dell’educazione, ormai ristretta alla sfera domestica, perché l’educazione pubblica degli antichi è scomparsa insieme all’eclissi della patria, delle tradizioni e dei «costumi» che avevano fatto la nobiltà e la grandezza degli antichi, con in testa Sparta e Roma repubblicana.
Ma come l’educazione privata incrocia e come può affrontare tale problema? La soluzione proposta è tanto netta, quanto problematica: salvando un solo individuo, cioè appunto Emilio, al prezzo, però, di crescerlo isolato dal mondo e dagli altri per una lunga parte della sua vita e destinandolo poi, man mano che gli anni passano, a un ruolo che è più quello dello «spettatore» che dell’«attore» e che diventa alla fine, dopo il matrimonio con Sofia, anche quello di testimone della virtù in un piccolo paese remoto che resta, comunque, circondato dal male.
Ciò non si oppone, peraltro, alla possibilità - che rimane sempre aperta malgrado la crisi della civiltà sia arrivata, per Rousseau, a un punto di quasi non ritorno - di agganciare la riforma della vita di un singolo alla ricostruzione, quanto mai difficile ma non impossibile, di una «société bien ordonée» che, malgrado la radicalità delle ingiustizie esistenti, costituisce pur sempre il compito fondamentale di un’umanità che riesca in qualche modo a recuperare il buon uso della ragione sul piano comunitario e non più soltanto nella «retraite» di una coppia ai margini della storia. I «princìpi del diritto politico», inseriti nel quinto libro dell’Emilio, stanno lì a dimostrare che questa via è considerata da Rousseau come qualcosa di più di una «chimera»: appare lontana, ardua, improbabile, ma non al di là delle possibilità della ragione umana. È innegabile che l’esperienza della libertà comunitaria degli antichi sia risultata perdente nella vicenda della specie umana. Ma ciò non cancella la questione che indirizza tutta la riflessione rousseauiana: come preservare la libertà in un’epoca che sembra non conoscerla e non apprezzarla più, che pare averla dimenticata e archiviata insieme ai reperti della civiltà repubblicana, greca e romana. Emilio impara a preservare la sua libertà privata nella società corrotta e a testimoniare il valore della virtù dopo che una garbata e ingannevole politesse l’ha in gran parte sostituita. Ma egli non ignora, anzi conosce a puntino, i fondamenti della società giusta e il significato della libertà comunitaria. Si tratta di vivere nell’epoca della decadenza di quella meravigliosa invenzione degli antichi che è stata la «patria», ma non dimenticando mai che in quell’esperienza sono radicati i fondamenti trascendentali di ogni associazione umana, com’è chiaramente detto nel Contratto sociale, libro I, cap. 6: «Le clausole di questo contratto sono talmente determinate dalla natura dellatto che la minima variazione le renderebbe vane e di nessun effetto; cosicché, sebbene non siano forse mai state formalmente enunciate, sono dovunque le stesse, dovunque tacitamente ammesse e riconosciute» (Libro I, cap. 6: cito dalla mia traduzione del Contratto, Rizzoli, Milano 20175 [corsivo mio]).

Se nulla, almeno per l’epoca in cui Jean-Jacques vive, lascia ben sperare per una riforma dei costumi e quindi della convivenza sociale, allora la strada forzata appare quella dell’educazione domestica. Questa è, appunto, la strada della salvezza destinata a un solo individuo, che dovrà restare per forza e sempre un «aimable étranger» nel mondo. Sarà un «gentile straniero» educato alla virtù, a padroneggiare le passioni, a vivere saggiamente, a saper cooperare senza entusiasmo ma con rispetto insieme agli altri, ma costretto, comunque, ad abitare “paesi” in cui la virtù può essere al massimo testimoniata, ma non resa principio universale della condotta umana. Emilio e Sofia faranno tutto il bene che potranno, eppure l’orizzonte che racchiude il finale dell’Emilio è malinconico, visto che la testimonianza non oltrepassa, per sua natura, lo spazio ridotto di un luogo ristretto (quale non ci viene mai detto, se non che è quello in cui Emilio è nato, ma questo luogo è senza nome), mentre intorno continua a prosperare il male.

Ma, se Rousseau avesse creduto unicamente a questo esito, perché mai si sarebbe convinto a inserire nel Libro V dell’Emilio, un riassunto del Contratto sociale, cioè di quei «principi del diritto politico» che potrebbero consentire una riforma ben più generale e fare del conflitto ragione-passioni non unicamente un contrasto da vivere in interiore homine, ma da trasportare anche nella vita della Città, dove l’educazione pubblica permetterebbe di risolverlo, pur sempre nei limiti delle possibilità umane. Qui un’educazione non più privata ma pubblica sarebbe in grado di avviare il contrasto a soluzione instaurando un rapporto cooperativo tra i citoyens. Magari, senza dimenticare mai che, «Si Sparte et Rome ont péri», bisogna pur sempre porsi la domanda cruciale consistente nel chiedersi «quel Etat peut espérer de durer toujours» (Du contrat social, Libro III, cap. 11, OC, III, p. 424).

Ecco perché, in sostanza, il futuro della libertà, tra Emilio e Contratto sociale, non è risolto, e Rousseau dimostra di esserne pienamente consapevole. L’alternativa è secca: libertà di un singolo in una società schiacciata dagli egoismi o libertà nella e della «communauté», in una condizione in cui il «dovere» non confligga più con l’interesse ben inteso e, insieme, diventino i moventi dell’operare umano, fino ad estendersi al mondo intero? Il cerchio non si chiude, l’alternativa rimane tale, cioè non conciliata; la modernità vive una crisi che contrasta con l’autocomprensione ottimistica e talvolta addirittura prometeica che i suoi maggiori protagonisti hanno di se stessi, del loro operato, dell’epoca che stanno vivendo e che lasceranno in eredità a chi li seguirà. A mio avviso, la grandezza e l’importanza storica e teoretica di Rousseau, autore contemporaneamente del Contratto sociale e dell’Emilio, sta nell’inquadrare questa crisi dell’evo moderno. Qui, non altrove, sta il «problema» che ci pone dinanzi: quale libertà? Da Machiavelli in poi il repubblicanesimo moderno sembra essere segnato da questa apparentemente ineliminabile tensione tra l’ideale della libertà comunitaria e il rassegnato ripiegamento sulla libertà dei «particuliers»: le vicende storiche, ma soprattutto la perenne instabilità e problematicità della natura umana non sembrano permettere, dopo l’eclissi delle città-Stato, molto di più. Il Principe di Mchiavelli e il precettore di Rousseau, al netto di tutte le loro enormi differenze, ci rinviano allo stesso quesito: come conciliare ideale e realtà dopo che le «belle sponde» del mondo antico devono essere consegnate a un passato che la modernità, quella egemone almeno, censura e/o non comprende.

Ma bisogna aggiungere qualcosa che non è certo una mera postilla: il problema non è tale da potersi racchiudere e risolvere, né solo né soprattutto, entro l’orizzonte mondano. La filosofia di Rousseau, nella sua componente filosofica così come in quella pedagogica, non è inseribile nell’ambito del cosiddetto (e molto usurato) pensiero della secolarizzazione. Non c’è, infatti, niente di più chiaro della parte della Professione di fede in cui egli scrive che i conflitti e le sofferenze terrene, compreso l’apparente scandalo dell’infelicità dei giusti, non potranno mai avere soluzione quaggiù. Se è vero che, su questa terra, il buono patisce e il malvagio sembra baciato dalla fortuna e dal benessere, ciò non deve far dimenticare all’uomo virtuoso che la realizzazione finale dell’esistenza di ogni essere umano risiede unicamente nella vita ultraterrena, in cui Dio saprà, nella sua infinita giustizia, rendere a ciascuno ciò che gli ha promesso creandolo: la felicità, che consiste nella contemplazione dell’Essere supremo e nel buon ricordo delle azioni meritorie compiute nel mondo. Il significato della filosofia e della pedagogia rousseauiane sfuggono del tutto se si dimentica o si sottovaluta questo cruciale rinvio alla trascendenza come orizzonte nel quale tutte le vicende umane devono essere ricomprese. Da qui l’altra caratteristica che segna a fondo l’Emilio: il senso del limite dell’uomo di fronte all’infinità di Dio e il sentimento della finitudine umana che accompagna, si può dire, ogni pagina dell’opera pedagogica, fino a esserne uno dei segni maggiormente distintivi, specie se si tiene conto del contesto in cui è inserito, vale a dire la polemica costante che egli conduce con le componenti materialiste ed atee della philosophie illuminista. La crisi della modernità, dal punto di vista di Rousseau è da attribuire - già nel Discorso sulle scienze e sulle arti - al suo immanentismo e nel suo scetticismo, che insidiano le fondamenta della società. Nella Lettera a Christophe de Beaumont - arcivescovo di Parigi ed estensore del Mandement contro l’Emilio -, così come nelle Lettere dalla montagna Rousseau, in questa dura polemica contro l’ateismo, si proclama «cristiano». La valutazione di quest’affermazione richiama molte questioni che ho fatto oggetto delle annotazioni e che sono dirimenti per un giudizio sulla sua filosofia. A esse rimando come a un punto che è inevitabile trattare non perché l’introduzione della Professione di fede del vicario savoiardo nell’Emilio ci obbliga, da buoni e diligenti lettori, a farlo, ma perché si tratta di un elemento essenziale ai fini della valutazione teoretica e politica relativa all’intero itinerario intellettuale dell’autore dell’Emilio.

 

 

INDICE

Prefazione

Libro I
L’educazione naturale
Educazione pubblica ed educazione domestica
Educare l’uomo
Le cattive abitudini dell’educazione
Il precettore
Critica della medicina
La nutrice
L’educazione neonatale
Il primo linguaggio

Libro II
Il pianto
Rispettare l’infanzia
Desideri e bisogni dell’infanzia
La libertà ben regolata
L’educazione negativa
Educare in campagna
I primi “doveri”
La menzogna
L’insegnamento fondamentale: «non fare mai del male a nessuno»
Le prime nozioni
Gli insegnamenti inutili
Partire dall’interesse immediato
L’esercizio del corpo
La guida occulta
L’educazione del corpo e i giochi
I cinque sensi
Il tatto
La vista
L’udito
Il gusto
L’olfatto
Il “bambino fatto”

Libro III
L’aumento delle facoltà rispetto ai bisogni
Dalle sensazioni alle idee
L’unico libro di Emilio: Robinson Crusöé
I mestieri
Lo sviluppo della conoscenza: il «giudizio»
Sintesi: il progresso compiuto dalla mente di Emilio

Libro IV
Le passioni: il sesso
L’emergere della socievolezza e la pietà
L’ordine morale: «raison» e «conscience»
Emilio e la società degli uomini
Conoscere l’uomo attraverso la storia
La dinamica delle passioni
Il tirocinio della beneficenza
L’unicità di Emilio
Verso la professione di fede
Sulle tracce del vicario savoiardo
Professione di fede del Vicario savoiardo
La religione naturale
Le religioni rivelate
La «ragione nascente»...
...e i conti con la passione dell’amore
L’ingresso di Emilio nella società
L’educazione del gusto
E se Emilio non fosse imitabile? «Se fossi ricco...»

Libro V
Sofia o la donna
Relazioni e differenze tra i sessi
L’educazione della donna
L’educazione intellettuale ed estetica
L’educazione religiosa
L’educazione morale
Descrizione di Sofia
La scelta di una sposa
L’incontro
La gelosia
L’innamoramento
L’uomo virtuoso e l’urto delle passioni
I viaggi
Bisogna saper viaggiare
L’educazione politica
Le nozze